Descrizione
L’opera e l’esistenza alquanto irregolari di Jacques Rigaut sono testimoniate dai pochissimi scritti che pubblicò quando era in vita, da prose brevi postume e dalle lettere. Come il contemporaneo Jacques Vaché – proposto in questa stessa collana – Rigaut non fu letterato di professione, piuttosto un dannato del gesto della scrittura, della vita e della morte che lo scrivere si porta dentro. «Il libro è un gesto» afferma, e agli amici surrealisti dichiara: «Voi siete tutti poeti, io sono dalla parte della morte».
L’andatura frammentaria di queste pagine tese, urticanti e sarcastiche fino al cinismo, sprigiona innegabilmente il ghigno sinistro di un’epoca, il Novecento, con i suoi eccessi, i suoi travagli. Eppure, tra le righe dell’ostinazione nichilista del dandy che per alcuni è uno «Chamfort nero», emergono le tracce di una sensibilità raffinata, di sentimenti trattenuti in travisamenti, sempre sul limitare tra verità e menzogna, autenticità e artificio, scherno e tragedia. Non a caso è lo specchio – e il gesto di attraversarlo – a funzionare per l’autore come pagina viva non scritta, come spazio di ogni doppiezza, di ogni cominciamento e fine. Così come non a caso sono alcune lettere – qui riportate per la prima volta in italiano, insieme ad altre pagine inedite – a lasciare intravedere i tratti sotto la maschera di una personalità brillante e dissacrante, di un personaggio in pieno stile dadaista.
Drieu La Rochelle fece di Rigaut il protagonista di tre sue opere: La valise vide, Addio a Gonzague e Fuoco fatuo, romanzo da cui Louis Malle realizzerà nel 1963 il film omonimo.
«Io posso scorgere me stesso solo su un giornale, in una vasca da bagno, nel freddo, in un viaggio, in una cravatta – ho bisogno di una città per incontrare il mio cuore.»
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